Gli uffici come li intendiamo oggi sono un’invenzione della Rivoluzione Industriale che, per minimizzare i costi e massimizzare i profitti, ha concentrato gli spazi del lavoro e ne ha scandito i tempi in ritmi serrati. La teoria formulata dall’ingegnere statunitense Frederick Winslow Taylor (1856-1915), facendo il verso alla rigida divisione gerarchica e alla sorveglianza maniacale del carcere-fabbrica panottico[1] ideato dall’economista inglese Jeremy Bentham nel 1791, ha accelerato questo processo di industrializzazione e continuato a influenzare la progettazione degli ambienti lavorativi fino ai giorni nostri.
L’alienazione prodotta dalla catena di montaggio taylorista, in fabbrica e negli uffici, non sfugge all’architetto finlandese Hugo Alvar Henrik Aalto (1898-1976), che, invitato subito dopo la Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti come visiting professor, ebbe la possibilità di ragionare sulla cultura tecnologica di quel Nuovo Mondo che lo aveva sempre affascinato e di avvertirne
L’occasione per mettere in pratica l’esperienza americana ed elaborare una propria idea di ufficio, gli venne offerta nel 1951, quando, rientrato a Helsinki, vinse il concorso bandito dai proprietari della Hakasalmen Oy per la realizzazione di un edificio commerciale su un lotto di terreno di 1630 mq.
Lo spazio urbano con cui si dovette confrontare Aalto offriva una sfida importante perché costituito da costruzioni molto diverse tra loro, per stile e per materiali. Tra queste l’edificio commerciale in mattoni rossi del periodo classicista di Eliel Saarinen e il Litonii Domus di Gustaf Leander e Valter Jung con cui l’architetto finlandese si pose in continuità. «Aalto optò per una struttura collegata con i suoi vicini attraverso un ritmo compositivo armonioso, ma senza alcuna imitazione strutturale. La facciata neutra con la sua composizione a griglia si ritrova anche in altri edifici commerciali e uffici progettati da Aalto nel centro di Helsinki. La scelta del metallo come materiale principale della facciata è stata naturale perché il cliente, Rautakauppojen Oy, era un’azienda di ferramenta».[2]
La portata innovativa, però, si ha al suo interno, dove l’edificio è trattato allo stesso tempo nella sua dimensione domestica (il nome Rautatalo, oltre a richiamarsi al nome dei proprietari, Rautakonttori Oy e Rautakauppojen Oy, significa letteralmente “casa di ferro”) e urbana. Un’ampia corte di marmo bianco di Carrara, nota come la Marmoripiha, circondata da ballatoi in travertino, si contrappone alla facciata austera e scura, permettendo alla luce di filtrare dai 40 lucernari posti sul soffitto[3]. Uno spazio che, come disse lo stesso autore, è stato costruito dall’interno verso l’esterno, e che ricorda uno scavo michelangiolesco in grado di dar voce allo spirito più profondo dei materiali e che con la sua caffetteria per 120 persone, la sua fontanella gorgogliante e le boutique esclusive si richiama esplicitamente al concetto di piazza italiana.
La piazza, con i suoi materiali naturali e la presenza della natura e delle persone, è lo stratagemma che Aalto utilizza per umanizzare gli spazi dandogli una forte connotazione sociale. È il suo modo personale di ribaltare la visione taylorista dell’ambiente lavorativo come spazio intensivo e alienante, a favore di un ambiente luminoso, caldo e accogliente, capace di ridurre le tensioni e di favorire le relazioni sociali.
Dobbiamo riconoscere ad Aalto, (oltre che a Frank Lloid Wright e a Richard Neutra), la volontà di condurre l’architettura su un terreno meno “razionale” e più umanizzante, anticipando idee che oggi faticano ancora a essere riconosciute.
Come sostiene l’architetto finlandese Juhani Pallasmaa:
Bibliografia
Curtis 2006 – Wiliam R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Phaidon Press Limited, Londra 2006;
Foucault 1993 – Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi Editore, Torino 1993;
Pallasmaa 2021 – Juhani Pallasmaa, Sarah Robinson (a cura di), traduzione e cura dell’edizione italiana di Matteo Zambelli, La mente in architettura. Neuroscienze, incarnazione e il futuro del design, Firenze University Press, Firenze 2021;
Prestinenza Puglisi 2019 – Luigi Prestinenza Puglisi, La storia dell’architettura. 1905-2018, Luca Sossella Editore 2019;
Saggio 2010 – Antonino Saggio, Architettura e modernità. Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica, Carocci Editore, Roma 2010.
Sitografia
https://www.alvaraalto.fi/en/architecture/rautatalo-office-building/
https://en.docomomo.fi/projects/rautatalo-office-building/
[1] Il Panoptikon è una struttura detentiva progettata per permettere a un sorvegliante di guardare (opticon) in tutte (pan) le direzioni. Foucault lo definisce così: «Spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli amimalati, i morti – tutto ciò che costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare» (Foucault 1993, p. 215).
[2] https://en.docomomo.fi/projects/rautatalo-office-building/
[3] Il progetto iniziale prevedeva uno svuotamento totale dell’intero nucleo dell’edificio, dal primo al settimo piano, ma è stato osteggiato dai proprietari per questioni economiche e ridotto a soli due piani di gallerie.