Illuminare il futuro degli ambienti di lavoro
Anche quest’anno Zumtobel Group ha organizzato una serie di brevi incontri di formazione online, dedicati ai delicati temi della luce e del benessere. L’incontro tenutosi il 24 maggio 2021, nell’ambito del programma PILLOLE DI LUCE, focalizzato principalmente sul rapporto tra luce e luoghi di lavoro, ha visto come relatori d’eccezione l’architetto Davide Ruzzon, direttore di Tuned e responsabile scientifico del Master in Neuroscienze applicate all’Architettura dello IUAV di Venezia; l’ingegnere ambientale Alessandro Speccher, che ha fatto le veci del Presidente del GBC Council Italia e membro del comitato esperti del G20 Ambiente, Marco Mari; e l’architetto Francesco Conserva, Vice Presidente di Open Project.
I tre professionisti hanno raccontato in che modo, negli ultimi anni, le tematiche relative alla luce e all’illuminotecnica, si siano estese ad ambiti disciplinari quali neuroscienze, psicologia ambientale, sociologia e via dicendo, diversi da quelli in cui erano solite muoversi, per proiettarsi lungo orizzonti trasversali, capaci di rispondere alle esigenze più pregnanti degli utenti.
Alessandro Speecher. Alla domanda del moderatore, e head of marketing di Zumtobel, Dario Bettiol, sulla motivazione per cui la certificazione LEED abbia avuto un aumento esponenziale di richieste dal 2012 in poi, Alessandro Speecher, che si occupa in particolar modo della formazione di GBC Italia, ha voluto sottolineare come il concetto stesso di certificazione, dagli anni 70 in poi, si sia evoluto, per legarsi sempre di più a quello di benessere. Dai semplici parametri di controllabilità del comfort termico e meccanico, infatti, si è giunti, negli ultimi anni, all’integrazione di concetti più ampi quali biofilia, ritmo circadiano e Universal design. Grazie a marchi quali LEED GBC e BREEAM, è possibile individuare e misurare elementi, come la luce, che ricadono nella sfera del benessere.
«Misurare le prestazioni degli edifici è sempre un ottimo modo per iniziare perché se non misuri non puoi neanche migliorare. Quindi reimpossessiamoci del fare bene le cose: misuriamole»
Se consideriamo che il 90 per cento della nostra vita si svolge all’interno di ambienti chiusi, in spazi costruiti dall’uomo, possiamo ben capire quanto l’individuazione, la misurazione e la regolazione degli elementi, che possono influenzare il nostro benessere, sia di fondamentale importanza.
Davide Ruzzon. Sebbene misurare, all’interno dell’ambito neuroscientifico si riveli ancora più complicato, perché richiede il controllo di variabili oggettive e soggettive, personali e collettive, cerebrali e fisiche, e l’utilizzo di sistemi di misurazione complessi, grazie agli studi condotti dalla cosiddetta neuro-architettura, inter-disciplina di cui l’architetto Davide Ruzzon si fa portavoce da anni, sta emergendo la forte correlazione che insiste tra ambienti, in particolar modo quelli costruiti, e benessere psicofisico.
Grazie a Lombardini22-Tuned, di cui è direttore, e alla collaborazione con i neuroscienziati e psicologi ambientali di fama internazionale che compongono l’Advisory Board del programma scientifico, Davide Ruzzon ha messo a punto un sistema che coniuga tre livelli diversi di test: quello comportamentale (per mezzo di questionari), quello fisiologico (per cui vengono misurati, tra gli altri, il battito cardiaco e la trasmittanza cutanea), e quello neuroscientifico, che, attraverso all’fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale), riesce a mappare l’attivazione corticale. Obiettivo principale: comprendere quali siano le attese emotive sviluppate dalle persone durante la loro permanenza in un luogo e in che modo lo spazio costruito possa supportarle.
Come lo stesso direttore sostiene:
«Attraverso un processo basato sui cinematismi motori, siamo riusciti a definire delle linee guida che ci consentono di progettare spazi sostenibili che rispondano alle attese emotive dei loro utenti.»
La collaborazione con il dipartimento di neuroscienze di Parma e quello di neuropsicologia della Cattolica di Milano, ha permesso a Tuned di costruire un metodo in grado di fotografare le condizioni di benessere psicofisico degli utenti, prima e dopo la realizzazione dell’intervento, e di constatare se i fattori di rischio come deprivazione sensoriale, disequilibrio del ritmo circadiano, diminuzione della propensione cooperativa, una volta realizzato l’intervento, vengano mitigati, e quelli di protezione (coinvolgimento emotivo, sviluppo delle relazioni, connessioni biofiliche etc.) al contrario, incrementati.
«Nella nostra esperienza quotidiana ci confrontiamo con casi di rischio che pesano di più di quelli di protezione. Lo sforzo per produrre appare maggiore della ricompensa che otteniamo per quell’attività. Ciò riduce coping, resilienza e motivazione, aumentando, invece, lo stress.»
I dati relativi al burnout, ovvero allo stress cronico associato al contesto lavorativo, riportano quanto una corretta organizzazione e progettazione degli spazi lavorativi, possa influire nella misura del 10% sulle perdite annuali di un’azienda. Ogni anno, infatti, sul trilione perso a causa del burnout, 100 miliardi di euro vengono bruciati per cause attribuibili allo spazio.
Risulta indispensabile, alla luce dei dati raccolti ogni anno dall’OMS e da altre organizzazioni mondiali, riflettere attentamente sull’importanza che hanno gli ambienti di lavoro non solo in termini di salute e cooperazione, ma anche in termini economici.
«C’è bisogno di creare spazi che vengano percepiti come luoghi che appartengano a chi ne usufruisce, che facilitino l’incontro tra le persone. C’è bisogno di costruire paesaggi emotivi diversificati, che comprendano la luce tra gli elementi architettonici più importanti.»
Francesco Conserva. L’ultimo intervento, dell’architetto Francesco Conserva, si è focalizzato principalmente su una visione olistica dell’architettura che verta su tre verbi: immaginare, progettare e creare spazi relazionali.
Alla luce della situazione pandemica che ognuno di noi ha vissuto negli ultimi mesi, infatti, non è possibile continuare a pensare e progettare lo spazio in maniera settoriale. Connettività, unione e relazioni sono i pilastri fondamentali su cui si dovrebbero impostare ambienti lavorativi più salutari ed efficienti.
«Non possiamo “silosizzare” la complessità, ma dovremmo utilizzare un approccio olistico più ampio.»
La piazza rinascimentale, concepita come centro di incontro per la comunità e di attivazione del senso di identità e di appartenenza al luogo, si pone, per il vicepresidente di Open Project, come riferimento architettonico per la progettazione degli uffici del futuro.
«La socialità è la base per vivere, collaborare e costruire assieme qualcosa.»
Gli uffici di domani dovranno essere, quindi, ambienti in cui la produzione tiene conto non solo del benessere economico-finanziario di un’azienda ma anche di quello psicofisico di chi la compone e dell’ambiente naturale in cui si inserisce.