Nel 1981 la scultrice e architetta americana Maya Ying Lin, all’epoca studentessa della Yale University, vinse il concorso internazionale per la realizzazione di un memoriale dedicato alle 58.318 vittime della guerra del Vietnam tra il 1955 e il 1975.
La vittoria di una giovane donna, di origini cinesi, e l’utilizzo del marmo nero, vennero in un primo momento considerati come un affronto agli uomini americani caduti in Asia ma, una volta accantonate le polemiche, il sito divenne uno dei monumenti più visitati degli Stati Uniti, con circa tre milioni di visitatori l’anno, tanto da essere utilizzato in seguito anche come memoriale dei soldati morti in Afganistan e in Iraq. Nel 2007 l’American Institute of Architects lo inserì al decimo posto della List of America’s Favorite Architectures.
Il progetto si compone di un gruppo scultoreo di bronzo che rappresenta tre soldati, di un Vietnam Women’s Memorial, e di un Vietnam Veterans Memorial Wall. Quest’ultimo si sviluppa a sua volta su due grandi pareti marmoree di forma trapezoidale disposte in modo da configurare, in pianta, una V con un lato rivolto verso il Lincoln Memorial e l’altro al Washington Monument.
Le 140 lastre di lucido granito nero provenienti dalle cave di Bangalore, in India, accolgono i nomi dei caduti in ordine cronologico di decesso sottolineando come il numero si intensifichi man mano che si procede verso il centro, dove le lastre raggiungono l’altezza massima di 3 metri.
Un monumento singolare che si pone a metà tra un’operazione paesaggistica di land art e un intervento architettonico minimalista. Una “miniland” art, potremmo dire, che apre nel terreno uno squarcio spazialista in grado di assorbire il dolore per trasformarlo in memoria collettiva.
L’opera può considerarsi come un museo a cielo aperto più che un monumento, inteso nella sua accezione comune, perché il segno artistico che interrompe la fluidità del paesaggio innalza un argine che contiene e coagula nella propria depressione memorie personali e collettive. Ma piuttosto che racchiudere al proprio interno delle opere d’arte che evocano memorie, si estende verso l’intorno costituendo lo spazio indefinito e senza limiti della memoria stessa. È un segno ricordato che induce a ricordare, inciso nel paesaggio, che non si erge a memoria di, ma si fa attraversare permettendo a tutti i sensi di esserne coinvolti.
Il confine che separa la nozione di museo da quella di monumento si fa labile. Museum e monumentum, d’altronde, non sono concetti molto distanti.
Il museum è uno spazio sacro dedicato alle Muse, figure mitologiche a cui si rivolgono gli artisti per ricevere l’ispirazione, figlie di Mnemosyne, personificazione della memoria e del potere di ricordare. Monumento e museo sono entrambi strettamente collegati alla memoria e alla sua tradizione sensoriale prima ancora che a quella culturale.
Per l’Encicopedia Treccani la memoria è «in generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. In particolare, […] la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee, ecc. di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato riconoscendole come stati di coscienza trascorsi, sia i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati, sia l’insieme dei meccanismi psicologici e neurofisiologici che permettono di registrare e successivamente di richiamare informazioni».
La memoria è, quindi, «il meccanismo con cui conserviamo la conoscenza nel corso del tempo. Noi siamo ciò che siamo, come individui, in gran parte in virtù di ciò che impariamo e ricordiamo». (Kandel 2016, p. 51) In architettura «ha una importanza capitale perché le architetture che vediamo e in mezzo alle quali viviamo entrano nella nostra memoria costruendo una specie di paesaggio immateriale, che ha con la realtà un rapporto di vaga corrispondenza». (Paolo Portoghesi, in Capuano 2020, p. 51)
Il suo valore cresce quando si parla di memoriale, che sia esso un monumento o un museo, perché il memoriale è lo strumento di cui gode la società per stabilizzare e tramandare ai posteri le proprie gioie e i propri dolori. Il suo compito è di fuggire l’ineluttabile destino a cui va incontro la memoria umana, ovvero il disfacimento, la corrosione, l’assottigliamento e la deformazione dei ricordi.
Cancellare la memoria significa mettersi nella condizione di sbagliare nelle stesse modalità e con le stesse catastrofiche conseguenze. Al contrario, rimembrare è l’atto attraverso cui l’individuo e la società esperiscono le conseguenze degli errori propri e altrui per evitare di commetterne di nuovi. L’architettura è la solidificazione della memoria e il monumento-museo, facendo leva su tutti i sensi, è uno dei modi per apprende e memorizzare attraverso il corpo.
La lastra di granito nero del Memoriale ai Veterani del Vietnam non delimita alcuno spazio ma, al contrario, annulla ogni differenza tra interno ed esterno, tra corpo-mente e paesaggio, così come la memoria, che non ha confini precisi ma si espande in tutto lo spazio che occupiamo, si imprime sulle cose, e vi lascia segni.
La vista, quindi, perde il primato, cedendo il posto ai sensi che il visitatore utilizza per attraversare lo spazio: propriocezione, tatto, olfatto, udito e via dicendo. Sensi che imprimono la memoria sulla nostra pelle, nei nostri muscoli, che rendono il corpo partecipe del processo del ricordare. La memoria collettiva si imprime nel codice epigenetico individuale di chi frequenta lo spazio stabilendo una certa appartenenza sociale.
L’architettura della memoria, così come la lettura nel suo piccolo, ha quindi la capacità di stravolgere il sistema nervoso configurando nuove connessioni neurali. Se, una volta finito di leggere questo articolo, ricorderete anche una sola parola, il vostro cervello sarà leggermente diverso da quello che era prima di iniziare la lettura, perché la memoria ne avrà cambiato l’assetto. La struttura del sistema nervoso viene modificata costantemente così come, in maniera esponenzialmente più profonda, risulta trasformata quando esperiamo uno spazio come quello museale.
Bibliografia
Arbib 2021 – Michael A. Arbib, When Brains meet Buildings. A Conversation between Neuroscience and Architecture, Oxford University Press, New York 2021;
Capuano 2020 – Alessandra Capuano (a cura di) con Benedetta Di donato e Alessandro Lanzetta, Cinque temi del modernocontemporaneo. Memoria, natura, energia, comunicazione, catastrofe, Quodlibet, Macerata 2020;
De Felipe 2019 – Javier De Felipe (a cura di), La memoria. Le connessioni che racchiudono il nostro passato, National Geographi, Milano 2019;
Garcìa Garcìa 2018 – Emilio Garcìa Garcìa, Siamo la nostra memoria. Ricordare e dimenticare, Hachette Editore, Milano 2018;
Blundel Jones 2017 – Peter Blundel Jones, Architecture and Ritual. How Buildings shape Society, Bloomsbury Publishing, London – New York 2017;
Kandel 2016 – Eric R. Kandel, Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto, Raffaello cortina Editore, Novara 2016. (Titolo originale: Reductionist in Art and Brain Science. Bridging the Two Cultures).
Sitografia
www.theattic.space/home-page-blogs/2019/10/23/the-woman-who-healed-america
www.surfacemag.com/articles/maya-lin-vietnam-veterans-memorial/
dcphotoguide.com/vietnam-veterans-memorial/
By Antonio Sorrentino